18 novembre 2013

IL MOSCATELLO DI TAGGIA


IL MOSCATELLO DI TAGGIA

La riscoperta dei vitigni autoctoni oggi è diventata una moda che si fonde con la voglia di proteggere e valorizzare il grande patrimonio vitivinicolo italiano. Una volontà, ormai diffusa, di scommettere sui vitigni “locali”, testimoni di una specificità del territorio, per far conoscere queste piccole realtà e per contrastare il mercato dei vitigni così detti internazionali.
Così il Moscatello di Taggia, situato nel Ponente ligure e più precisamente nella Valle Argentina – Armea, quasi estinto, grazie all’Assessorato Agricoltura della Regione Liguria, è stato recuperato e sono state fatte su di esso ricerche storiche e ampelografiche.
Dagli studi effettuati è emerso che durante tutto il Medioevo la viticoltura era una delle principali fonti di reddito per l’economia di quella zona. Tra i vini più nominati negli antichi documenti figura spesso il Moscatello di Taggia, il cui mercato si estendeva da Roma al Nord Europa. Apprezzato da tutti e presente sulle mense dei re e dei Papi tanto da rendere il Borgo di Taggia, nel XV secolo, un centro economico di rilievo. Nel XVII secolo l’affermarsi dell’olivicoltura, con la famosa cultivar taggiasca, mise in secondo piano la viticultura, ma fu l’arrivo della fillossera a dare il definitivo colpo di grazia al Moscatello, decretandone la sua “quasi” definitiva scomparsa.
Nel 2003 sono state raccolte testimonianze sul territorio, ricordi di anziani viticoltori che ancora parlavano di questo Moscatello e che ne conservavano qualche pianta, a volte solo per non perdere la varietà, a volte per avere una piccola quantità di uva aromatica da aggiungere nei vini bianchi.
Nello stesso anno è iniziata la sperimentazione enologica. E’stato attestato che il Moscatello di Taggia è un “Moscato bianco”, geneticamente uguale a quello di Canelli, ma con un grappolo spargolo e un aroma molto intenso. La prima microvinificazione è stata fatta partendo da circa 15 kg di uva raccolta da 17 viti per ottenere circa 10 litri di mosto che sono stati lasciati fermentare fino al raggiungimento di 5 gradi alcolici. Il prodotto è stato stabilizzato tramite l’abbassamento della temperatura e la filtrazione con sacchi olandesi per arrivare a un prodotto denominato a “tappo raso”, leggermente frizzante simile per caratteristiche al classico Moscato d’Asti. La scelta del metodo di vinificazione è stata dettata da due motivi: innanzitutto per mantenere gli aromi primari usando metodi di cantina non invasivi e tradizionali; in secondo luogo perché in una documentazione storica il Moscatello era descritto come un vino “liquido come l’argento vivo, frizzante come lo sciampagna, che ride nel bicchiere....” oppure “di colore dorato, non troppo dolce ma amabile…”

Oggi da questo vitigno, che matura verso la seconda metà di settembre, si possono ottenere vini dolci e intensamente aromatici, frizzanti o più spesso spumanti. A seguito dell’appassimento delle uve si ottengono passiti di eccellente qualità che si abbinano alla pasticceria e ai dolci del luogo come i canestrelli e i biscotti del Lagaccio. Rari, ma degni di nota, i vini secchi e aromatici adatti come consumo da aperitivo. Da notare in questo vino, dal color giallo paglierino con riflessi dorati, la sua particolare sapidità, caratteristica comune a quasi tutti i vini liguri.
Unico neo di questo vino sono le ridottissime quantità e solo una visita a Taggia ci può dare l’occasione di assaggiarlo.

Nel novembre 2011, come riconoscimento della sua importanza, è nata la Sottozona Taggia delle Riviera Ligure di Ponente e lo possiamo trovare nella versione frizzante, vendemmia tardiva e passita, sempre 100% moscato bianco.

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